Si ritrovava spesso a pensarci: se avesse tolto tutto ciò di superfluo, vano e transitorio che aveva fatto e faceva parte della sua vita, non gli sarebbe rimasto niente.
In fondo perchè agiva, e perchè lo facevano tutti? Lavoravano per arrivare a fine mese, studiavano per non dover lavorare per arrivare a fine mese, progettavano scadenze che mai avrebbero rispettato, sognavano e poi si disilludevano, perchè?
Perchè si faceva carico di colpe che non erano sue per stare a posto con la coscienza che lo avrebbe comunque tormentato, perchè sapeva che lo stava facendo solo per mettersi a posto con sè stesso, ma forse anche un pò lo sentiva veramente; perchè si ostinava a cercare dentro di sè una soluzione che mai avrebbe trovato, neanche un indizio, un accenno, niente, così come era dispersa la ragione del suo continuo pensare, puro sforzo mentale che avrebbe sicuramente trovato definizione di mera perdita di tempo alle menti dei più.
Sbattersi per chi? Per cosa?
Per andare in vacanza! Drogarsi di pausa, ancora indolenziti dall'assuefazione alla routine, e poi, quando cominci a prenderci gusto, cambi pusher e torni alla solita merda.
Si guardava attorno alla ricerca di conforto, conforto che non sarebbe venuto da alcun oggetto al mondo, nè da persona, nè da grido, nè da sospiro; era stizzito dal silenzio delle mura, stomacato dal rumore dell'aria...
Voleva dichiarare guerra a tutto, far saltare in aria il mondo, tirar giù l'albatro nel cielo a colpi di mitra e bruciarne il cadavere, e poi sputarci sopra, sì, forse, magari.
E si ritrovava così, seduto sulla sua poltrona in similpelle a guardare dalla finestra, ad invidiare qualsiasi altra forma di vita gli capitasse a tiro.
Ma del resto chi era lui per invidiare? Cosa poteva saperne dei problemi di un animale, di un insetto, di una farfalla o di un cane? Proprio lui, che diceva sempre di amare gli animali... ogni creatura sulla faccia della Terra aveva un significato particolare per lui, e non raggruppava mai tutti gli animali in un unico concetto di "cane" o "gatto", ma li considerava per quello che erano, a sè stanti, ogni singolo animale faceva storia a sè... una specie di neo-San Francesco... questo diceva!
Ma in realtà aveva paura quando si trovava di fronte un cane che superasse i 40 centimetri di altezza, ma forse aveva pure ragione, perchè quel cane veramente gli poteva fare male, mica a scherzare! E San Francesco chissà se è mai esistito, magari è una metafora, magari una balla e basta, un lupo gli avrebbe fatto paura e chissenefrega se aveva un animo gentile sotto sotto, lui non aveva voglia di conoscerlo, neanche gli avessero regalato un milione. Sì, perchè di fronte a quelle cose i soldi non riuscivano ad influenzarlo, nonostante pensasse "...ma alla fine sarebbe un secondo solo, un attimo, un'ora, una sera..." ma poi non lo faceva mai, e dico mai!
Ma perchè avrebbe dovuto condividere qualcosa con qualcuno? Dove stava scritto?
Al diavolo chi lo additava come "asociale", la sua era una minoranza composta da un solo elemento, che era lui stesso, capo di sè e al contempo suo seguace...
Una doccia, una cazzo di doccia!
Lo specchio in casa era una presenza inquietante, ogni volta che ci passava davanti si trovava di fronte a quella persona che cercava di migliorare da più di vent'anni, e che chissà se gli avrebbe mai dato qualche soddisfazione.
Cercava di asciugarsi i capelli cercando di dare loro una qualche forma, ma ad ogni colpo di phon si ripeteva che non gli fregava niente del suo look, e che i capelli potevano fare quel che volevano.
Ma se lo ripeteva spesso, eh... voleva proprio convincersi in tutti i modi che non gli importava... un pò come Einstein.
Dopo la formulazione della teoria della relatività, 100 fisici scrissero un libro dove cercavano di smantellare questa tesi, ma Einstein disse che, se davvero avesse avuto torto, ne sarebbe bastato uno solo, di fisico, per confutare le sue teorie.
E in effetti i capelli stavano prendendo quella piega...
Interpretazione di un sogno - Capitolo 7
Interpretazione di un sogno - Capitolo 6
Il peso dell'acqua che, goccia a goccia, lo bagnava da capo a piedi sembrava stesse per far crollare da un momento all'altro quella fragile impalcatura di ossa, carne ed anima. Quel processo esteriormente catartico lo metteva a proprio agio, come se fosse per un attimo in un'altra dimensione, isoterma, sospesa ed onirica. Vedeva davanti a sè la strada, e dietro non volle girarsi, ma non per paura di vedere qualcuno, qualcosa che lo inseguiva, ma solo perchè non voleva girarsi, tutto lì; respirava a pieni polmoni un'aria densa e tiepida, sotto un chiaro sole primaverile, ma non di primavera inoltrata: quando l'erba comincia a verdeggiare e nasconde il fango sotto la sua coltre verde, ci camminava sopra, e sentiva di camminar nel fango, ne era sicuro, ma non ci pensava perchè sopra c'era il verde del prato ed allora andava tutto bene, anche se aveva le scarpe infangate il sole le avrebbe asciugate e il terreno sarebbe caduto di lì a poco e fango, fango, ancora fango sotto le sue suole, poteva sentirlo quasi dentro le scarpe, i calzini, ma chi se ne frega? Camminava, e nessuno avrebbe detto oh guarda che scarpe infangate perchè tanto c'era l'erba che era verde e umida e profumata, anche se non è proprio un profumo, è qualcosa che senti come vero, una realtà non è come una strada asfaltata, no, quella ci sbatti sopra e non ti ha neanche sentito, l'erba se ci cadi sopra ti sente e cerca di prenderti, l'erba, verde; il sole, chiaro; un sapore sulle labbra, un bacio di donna, un profumo di pelle, una carezza, uno stridore, un grido, un urlo lancinante, uno scricchiolio nel buio...
Sapeva che avrebbe dovuto cambiare la doccetta prima o poi, la mamma era andata a fargli visita qualche giorno prima e proprio quello gli disse, sì, gli disse proprio così: aggiustala quella doccetta che poi ti cade in testa mentre fai la doccia e sei nel mondo bello, onirico, sensuale e perfetto. Bè veramente non aveva detto così, cioè sì, però senza il fatto del mondo bello onirico e sensuale.
In ogni caso gli era caduta la doccetta in testa, e altro non poteva fare se non sciacquarsi ad altezza di cane sotto il rubinetto.
Doccia del cazzo! Lo aveva interrotto durante il suo orgasmo di sensazioni, ed ora non lo poteva raggiungere in alcun modo, tanto era lontano nello spazio, nel tempo e nella sua mente.
Interpretazione di un sogno - Capitolo 5
Avrebbe potuto accettare il passaggio che Eddie gli aveva offerto, in uno spicco di generosità più unico che raro. Ma fu proprio grazie all'aver rifiutato quel passaggio che improvvisamente, proprio lì, all'incrocio che la strada principale del paese formava con la stradina laterale che lo avrebbe portato a casa (dopo un cammino medio-lungo), una Mercedes nuova di zecca, nera, scintillante, passò sulla pozzanghera che si interponeva tra lui e la prima striscia pedonale e... sì.
Era talmente furioso che si sarebbe fatto come minimo una doccia, fredda, perchè l'acqua calda non funzionava tanto bene a casa sua, ma era sicuro che se la sarebbe fatta, la doccia. Per strada era sicuro che qualcuno lo avesse salutato, ma forse no, e allora tirò dritto verso il portone di casa, lo aprì e un pò di rimorso lo colse, ripensando a quella entità che probabilmente lo aveva salutato prima e a cui aveva volgarmente negato il saluto: perciò si girò di scatto e, non potendo impedire alle gambe, ancora furiose per la Mercedes, di continuare ad avanzare, sbattè fragorosamente contro le cassette della posta. Una volta ricomposto (se questo è appellativo adeguato per descrivere un ragazzo fradicio da capo a piedi di acqua sia caduta dal cielo di una grande metropoli, sia saltata dalla strada di una grande metropoli) riaprì il portone che aveva poco fa sbattuto con una certa calma, quasi volesse scusarsi col nero legno per il suo gesto di prima, e mise la testa fuori. Il palazzo non aveva balconi, da quel lato, e quindi sentiva l'acqua sporca del tetto cadergli in testa; pioveva sul bagnato, letteralmente. In ogni caso, mise la testa fuori e vide: una signora con un cappotto marroncino che portava a spasso una specie di cane (quanto odiava i pechinesi...), la Mercedes di prima che sfrecciava nella discesa, un signore che fumava in canottiera sul balcone di casa, richiando un accidente, il giornalaio che chiudeva il piccolo chiosco, una ragazza con un maglione a righe nere e marroni, un'altra ragazza, dall'altro lato della strada, con un ombrello celeste che era un cazzotto in un occhio, un ragazzo, questo lo aveva già visto da qualche parte, magro, più di lui, con barba incolta e che camminava in modo un pò strano lungo la stradina, incurante della pioggia che bagnava i suoi capelli ricci. Forse era stato lui a salutarlo, forse non lo aveva salutato, forse lo aveva solo guardato, ma forse non era neanche stato lui, chi avrebbe dovuto salutarlo, non conosceva quasi nessuno.
Rientrò, si chiuse il portone alle spalle con media forza e salì i gradini di casa; andò a farsi la doccia.
Interpretazione di un sogno - Capitolo 4 (Xmas Chapter)
Freddo, aria fredda, aria di neve, aria di Natale.
Il freddo non gli aveva mai dato troppo fastidio (non come il caldo, in ogni caso) e poi almeno col freddo basta coprirsi, col caldo soffri anche se ti spogli.
Se i suoi piedi avessero avuto le mani lo avrebbero preso a pugni, e se avessero avuto il cervello se ne sarebbero probabilmente andati lasciandolo irreparabilmente mutilato, ma invece rimasero lì, attaccati a quel corpo debole e umido... non è una cosa buona quando i vestiti ti si asciugano addosso.
Tra uno starnuto ed una fitta alle tempie raggiunse la via principale che avrebbe dovuto riportarlo a casa in 15 minuti, al massimo 20 di cammino; la gente è sempre frenetica, anche se deve andare al bar a prendersi una camomilla: ha fretta di calmarsi, e se non riesce a calmarsi in tempo si innervosice e beve caffè oppure fuma oppure schiaccia il piede sull'acceleratore. Beh quel giorno era più frenetica del solito, ma questa volta era a fin di bene: esatto, la gente si innervosiva, beveva caffè, faceva file chilometriche ai negozi, spendeva stipendi su stipendi anche se non poteva permettersi l'affitto, non trovava parcheggio, imprecava contro i parcheggiatori, strisciava le auto, litigava con moglie/fidanzata/figli/madre/padre, fumava... per fare i regali di Natale. Questo è lo spirito del Natale, uno spirito da missionario: sacrificarsi per gli altri. A questo punto era davvero giunto il momento per mettersi le cuffie e tirare dritto, più lentamente possibile.
Before you slip into unconsciousness
I'd like to have another kiss
Another flashing chance at bliss
Another kiss
Another kiss
Interpretazione di un sogno - Capitolo 3
Sentiva ancora le zampette dell'insetto sotto le sue converse quando schiacciò di nuovo qualcosa: il pulsante dell'ascensore che avrebbe dovuto, di lì a poco, portarlo in un posto angusto e sudicio chiamato "ufficio".
Odiava l'ascensore, specialmente quando era pieno.
E quel giorno lo era.
Una signora con un passeggino vuoto, vuoto perchè il pupo frignava e non aveva voglia di stare seduto nè tantomeno di dormire, figuriamoci... un vecchio signore con un bastone e con un cappotto elegante, un uomo in giacca e cravatta antipatico a prima vista, una signora anziana che fissava il vuoto, una ragazza carina con un maglione a righe nere e marroni e, cosa che attirò la sua attenzione, un cameriere con le lentiggini e con 3 caffè sul vassoio ricoperti da piccoli pezzi di carta stagnola che rilucevano sotto i neon pallidi, facendo brillare le gocce di pioggia che vi erano cadute quando aveva attraversato la strada.
Aveva sonno, e stava pensando a come fosse strano il fatto che quando si è svegli si è tremendamente superficiali nonostante si abbia il presunto controllo totale delle proprie forze; magari se avesse dormito di più la notte, o meglio, se non avesse avuto l'insonnia, o meglio, se non avesse avuto i problemi che gli causavano l'insonnia, probabilmente non avrebbe notato le goccioline sulla stagnola, e non starebbe neanche perdendo tempo a guardare il vuoto!
...
"E' per caso diventato sordo? Le ho appena detto di non star lì a perdere tempo a guardare il vuoto! Esca immediatamente da quell'ascensore e timbri il suo cartellino, non la pago per dormire!"
Era il signor Martins, il suo datore di lavoro, era brutto, era burbero, era terribilmente antipatico quella mattina, ma non lo era di solito, o meglio, era antipatico a tutti ma lui ci trovava qualcosa di simpatico sotto tutti quei peli bianchi.
Era soprattutto l'ora di muoversi, così si incamminò verso la sua scomoda poltrona di similpelle e si mise al pc.
Doveva scrivere un articolo sul degrado che le stazioni di treno e metropolitana stavano raggiungendo negli ultimi mesi; specialmente dopo l'omicidio di quel signore, in effetti, anche lui avrebbe avuto un po di fifa ad aspettare da solo un treno nel bel mezzo del niente, laggiù vicino al campo di calcio, magari di sera... Effettivamente non lo avrebbe mai fatto neanche prima dell'omicidio.
In ogni caso restava da scrivere l'articolo, neanche quello l'avrebbe mai fatto, ma doveva.
Gli scappò il mouse sul file di testo che aveva cominciato a scrivere la notte prima; gli era sempre sembrato strano rileggersi, non era una sensazione gradevole, e poi Eddie gli stava portando un cappuccino e l'idea che potesse leggere quello che aveva scritto anche solo per gioco gli dava terribilmente fastidio. Tuttavia, non chiuse la pagina Word, e decise di leggerla ancora un pò: ci stava lavorando da un pò, a quel suo libro, magari lo avrebbe tirato fuori dalla miseria in cui viveva, magari no, ma perchè non tentare. Era un libro che parlava di un ragazzo più o meno come lui, solo più affascinante, che si trovava (ancora non si sa come... non è detto che tutti i libri debbano cominciare dall'inizio) in un posto oscuro e magico, con demoni e mostri; insomma qualcosa di commerciale che vendesse... aveva bisogno di soldi.
Eddie gli portò il cappuccino e lui chiuse di scatto la finestra, salvando i cambiamenti che aveva apportato al testo.
"Stavi guardando un video porno?"
Concluse l'articolo entro la giornata, era un brutto articolo, ma dopotutto lavorava per un brutto giornale con un brutto caporedattore, che però non era proprio brutto... era pittoresco. E poi il suo articolo era meglio di quanto si leggeva su gran parte dei giornali e questo bastava, almeno per ora.
Entrò nell'ascensore con Eddie, che intanto gli aveva offerto un passaggio. Non gli piaceva proprio quell'ambiente lì: erano solo in due adesso, e c'era odore di caffè, di sudore, di profumo scadente, di shampoo. Gli faceva proprio schifo l'ascensore.
Interpretazione di un sogno - Capitolo 2
Interpretazione di un sogno - Capitolo 1
Si svegliò in una pallida mattina ventosa d'autunno, il vetro sottile della finestra a malapena frenava le spallate del vento, dando come l'impressione che stesse per fracassarsi e andare in frantumi da un momento all'altro. Era il suono di un'altra giornata, che la faceva cominciare, che dava vita a quel processo biologico-sentimentale che sembrava aver trovato un attimo di pace nella notte.
Invece no, era lì, ancora.
Fame.
La ricerca di qualcosa da mangiare era per lui qualcosa di asfissiante, di insopportabile; come entrare in una camera a gas. I piedi freddi sulle mattonelle grigie si erano addormentati, almeno qualcosa di lui dormiva...
Con la stessa passione di chi spala letame si versò una tazza di caffè; soreseggiando lentamente guardò i gatti nella nebbia. Un'orrida quiete faceva da regina, mentre gli alberi sembravano ancora dormire, umidi e calmi. Ad accompagnare lo spettacolo del risveglio della città era un sibilo leggero e gelido del vento attraverso le finestre, un sibilo che diventava fischio, trillo, allarme, strillo di qualcuno in cerca d'aiuto.
Silenzio.
Nel lungo attimo che precedeva un'altra folata di vento respirava, la sua lingua si liberava dalla morsa dei denti, e un'altra generosa quantità di caffè inondava di nuovo la sua bocca.
Chiuse la porta alle sue spalle e scese, ascoltando l'eco dei suoi passi salire su per le scale mentre lui si allontanava, scendendo. Il portone pesante spezzò quel labirinto di specchi che rifletteva i suoi passi in ogni direzione; uscì.
Interpretazione di un sogno - Capitolo 0
Era solo, e solo correva, e solo camminava, immerso nel buio di un'acida notte dal sapor di fanghiglia. Solo, ma tra una massa stritolante di persone, solo.
La luna balenava da dietro al mare, vincendo le tenebre e illuminando quella che, forse, era l'ultima curva: l'ultimo miglio, nero e umido. Ciechi demoni correvano nella notte, accorgendosi di lui, ma sentendolo come uno di loro, nelle sue vene scorreva la stessa cattiveria, la stessa voglia di violenza, di orrore; un filo rosso sangue che univa due menti. Pensava... No, non era l'anima quello che davvero lo legava a quel mondo, ma la sua pazza razionalità; era cosciente di quel che faceva, solo andava avanti.
Mentre cercava qualcosa al contempo evitava quella stessa cosa, gli fuggiva disperatamente, finchè non si vide contro la realtà con le sue lame luccicanti carezzargli la schiena e costringerlo a terra, sconfitto, vinto, mutilato della sua stessa anima.
Più che una prefazione è una comunicazione tecnica, in ogni caso, mi sto trasferendo dalla vecchia Suburbia 17 alla nuova Suburbia, 17 (la virgola fa più chic).
Il concetto è sempre quello, anzi veramente non è cambiato niente, ma se è nato il Partito Democratico allora posso cambiare anche io, e tutti noi possiamo cambiare, tutto il mondo può cambiare!
Vabbè, seguiranno vari post di copia-incolla dei vari capitoli della pseudo-storia dello pseudo-ragazzo di cui parlavo in suburbia 17... buona lettura.